VINITALY - Solo vino rosso          (il racconto è un po’ lungo: non spaventatavi)

 

Mi concedo due o tre righe di tediosa serietà: venerdì 7 aprile 2006 ho visitato gli stand del Vinitaly, a Verona, per quattro ore, da mezzogiorno alle quattro, in veste di giovane competente giornalista. Il risultato è uno solo: ho bevuto bene. Gratis. Ora vediamo di raccontare le impressioni. In lucida malinconica  sobrietà.

 

Scivolo fuori dal letto alle otto precise, giusto un rapido salto in bagno per gonfiarmi i capelli e  sfregarmi la faccia e sono già sulle scale. Raggiungo con sicurezza e rapidità la stazione di Brescia, dopo aver sfiorato camion con la mia massiccia Twingo senza servosterzo. Biglietto fatto. A Brescia nessun drogato (o extracomunitario)  tenta di accoltellarmi (ed è cosa rara!). Nemmeno Cap Cap! Sul treno divoro il Corriere, oggi interviene anche Ugo Ughi! A Verona Villafranca incontro Federico, mio compagno di corso, appassionato bevitore di buon vino -  ma  anche di quello meno buono, se capita – friulano mangiapreti. Egli è la mia chiave per il paradiso. Si. Lui mi fa il delizioso dono di un pass da appendere al mio collo taurino. La mia professione? Giornalista.

Attendiamo qualche minuto, il veronese astemio Davide ci ha promesso che ci verrà a prendere in stazione. Si fa attendere un po’ però non manca l’appuntamento. Ci incastriamo nel suo piccolissimo scassato trabiccolo bianco, destinazione ingresso “Romeo e Giulietta”, fiera. C’è un traffico tremendo, ed è ancora presto, macchine dappertutto, non si riesce a parcheggiare l’auto. Davide cerca di rovinare il suo bolide, ma pur mettendosi d’impegno non ci riesce. Ad un certo punto tenta un’inversione in puro stile Napoli. La corrente e lo sfinimento ci conducono ad un parcheggio coperto. Guarda un po’ se per andare alla fiera bisogna anche pagare il posto auto! Sei euro! Per fortuna ho il pass, altrimenti sarebbero altri trentacinque.

         

Davide non ha il pass. Dice che un suo amico, un  giovane massone del R, lo prenderà per mano conducendolo all’interno di questo  immenso mondo divino. Viene tradito. Il giovane rampollo non è amico nel momento del bisogno. “Se volete, facciamo una colletta e paghiamo il biglietto a Davide. Ci sto anche io” (- perfino io-) ci dice sprezzante il figlio di papà. Ringraziamo (anche se vorremmo sputargli in un occhio) ma rifiutiamo il suo generosissimo viscido contributo. Pagheremo solo noi. Invece non sarà così perché l’astemio conosce molti operatori del settore e riuscirà ad imbucarsi nel pomeriggio, verso le tre, poco prima che io me ne vada, senza mettere mano al portafoglio.

Comincia l’avventura. Siamo un po’ timidi, rigidi, per nulla disinvolti, non sappiamo come avvicinarci agli stand. E se ci chiedono commenti? Che cazzo diciamo? Non è facile descrivere un vino, soprattutto se si devono utilizzare tutti quegli aggettivi in un ordine privo di senso. Chi descrive i vini deve essere ubriaco.   

 

Capito questo sillogismo ci diamo subito da fare. Siamo dei professionisti, no?! Decidiamo che il luogo migliore per il riscaldamento sono gli stand dei vini russi e più in generale dell’est. Lì siamo certi non ci scasseranno più di tanto con le parole ( e comunque, se anche si dovesse parlare nell’internazionalissimo inglese, non saremmo in grado di esprimerci oltre al good/very good –bad sarebbe offensivo-). Giriamo, e ancora e ancora e ci ritroviamo in Abruzzo. Ma come? Vabbè, dai, è già passata mezzora, vediamo di darci dentro, sennò il giornale ci licenzia. Abruzzo, allora. Una Toyota da Formula1. Che c’entra? Dietro c’è Trulli, che da qualche anno produce dell’ottimo vino col nome “Podere Castorani”. Inizieremo qui, tranquilli, Trulli certamente non ci farà discorsi betelliani sul vino, sicuramente ci scasserà le palle con la solita storia dell’amore per la sua terra d’origine. “Jarno? Possiamo farle qualche domanda? Scriviamo per un giornale universitario di Milano. Trulli è disponibile ma comunque ha un’espressione alquanto seccata, tipica di chi deve sorridere e concedersi a foto ed autografi ogni cinque secondi. Lo intervistiamo. E che ci va a raccontare? E’ diventato produttore di vino perché ama la regione in cui è nato. Ma che risposta originale! Io intervengo deciso. Gli dico chiaro e tondo che i nostri lettori vorrebbero qualche aneddoto, qualcosa di non banale, insomma. Io tifavo Jean Alesi, indimenticabile perdente di successo, e so che anche lui produce del vino. Chiedo a Jarno se i Gran Premi si fanno degustazioni (prima della partenza?), se tra piloti si parla di vino. Trulli non si scompone e mi dice che tanti piloti adorano questo prezioso frutto della terra, che lui porta spesso agli altri piloti, compagni di squadra soprattutto (cita Alonso), bottiglie di sua produzione. Capiamo che Briatore e soci bevono e se ne intendono. Ma la dieta ferrea che deve seguire un pilota permette di assumere alcolici (per quanto di qualità)? Questa domanda non ci viene in mente. Peccato. Facciamo una foto con il loquace sportivo, gli voltiamo immediatamente le spalle e prestiamo maggiore attenzione al suo vino. Ed è davvero buono, specialmente quello “riserva”. E’ un Montepulciano d’Abruzzo (colore rosso rubino intenso, quasi impenetrabile, con riflessi violacei). Noi lo consigliamo, tra l’altro credo non costi molto (8 euri o giù di lì).

     

Siamo partiti! Ora non ci ferma più nessuno.

Ad ogni angolo una degustazione, ad ogni stand il rifornimento. Dovete sapere che i veri degustatori non mandano giù. C’è un cestello per lo sputo. Io e Federico crediamo che sia un peccato gettare via questo prodotto salutare, così non sputiamo nemmeno una goccia. Inoltre sono convinto sia una immensa puttanata, in quanto per sentire fino in fondo il  sapore bisogna che il vino passi attraverso la gola (mentre si fa un profondo respiro con il naso). Visitiamo un po’ Francia (oh, che schifo i francesi!!!) e assaggiamo vari Bordeaux. Alcuni sono molto salati, “puzzano di mare”, dico convinto, mentre Federico prende appunti. “Questo ha un retrogusto di pasta con le sarde”. Si, ormai siamo sciolti e disinvolti, anche noi possiamo descrivere a parole il vino. E con originalità.

Dopo tutta questa Francia si tenta un rosso  autoctono della Romania. Lo stand è austero, in stile con Dracula. Il vino è discreto. “Questo vino è rosso”, commentiamo annuendo.

Si passa di nuovo dall’Abruzzo, degustiamo del vino biologico (2004, 2003, 2001) dell’Azienda Pepe. Ottimo, davvero! Discutiamo amabilmente con un collaboratore della produttrice, il quale ci racconta che il vino lì viene ancora pigiato con i piedi. Così noi interveniamo dicendo che le macchine rovinano la qualità, il vino dovrebbe essere prodotto come una volta. Eh, si.

  

Ora Piemonte. “Federico, ti porto da Alario. Vedrai che buon prodotto. Matteo poi è anche molto generoso.” Infatti il signor Alario, con due occhi sempre gonfi e spenti, ci fa degustare due Dolcetti di Diano d’Alba, una Barbera, un Nebbiolo e un Barolo. In cinque minuti. Anche gli occhi di Federico adesso scoppiano! Ringraziamo e ci complimentiamo. Ora forse sarebbe il caso di rallentare. Nooooo! Avanti!

              

Passiamo vicino ai fratelli Bologna. “Federico, ha mai assaggiato La Monella?” Risponde di no. Ma c’è molta fila al bancone. Noi sventolando il pass e spacciandoci per giornalisti superiamo tutti e ci accomodiamo addirittura ad un tavolino. Facciamo un po’ di domande, ad esempio chiediamo se e quanto esportano, se La Monella è un vino apprezzato di più dai giovani o da persone di una certa età. Ci viene detto che La Monella è solo per il mercato  italiano e che è per tutti. Grazie! Poi Federico fa una gaffe! “Io solo friulano e non conosco molto i vini piemontesi. Mi può dire come è nato questo esperimento?” chiede riferendosi sempre a La Monella. “Veramente non è un esperimento, sono ormai quaranta anni che la produciamo. Evvai! Lasciamo il tavolo.

Giungiamo all’apoteosi del marketing. Si. Troviamo un produttore da un anno ha stretto un rapporto commerciale con la famiglia Agnelli. Nascono così i vini di Lapo. Bottiglie con il disegno del radiatore di una Alfa Romeo, oppure  con scritte del tipo “FIAT”,”JUVENTUS”. Uno spettacolo! Che burinata! Non riesco a trattenermi e chiedo se hanno intenzione di vendere i loro prodotti in enoteca o al supermercato. Io sarei più per la seconda, dato che il TIFOSO non può mica andare in enoteca. Mi rispondono senza darmi una risposta. Boh. Non ci sanno fare. Certamente niente supermarket. Eh, questo vino juventino è per tifosi di gran classe(?). Ok. Mentre gli poniamo una seconda domanda lo stronzo ci volta le spalle perché preferisce servire e riverire una ragazza russa che forse ordinerà parecchie casse. Noi ci irritiamo. Aspettiamo qualche minuto e ce ne andiamo seccati. Lo stronzo ci chiama, scusandosi. Noi non perdoniamo, lo lasciamo ai suoi russi. Stia certo, il nostro giornale stroncherà in pieno lo chiccoso vino juventino. Pessimo!

    

La vita corre e non si arresta un’ora e la morte vien dietro a gran giornate. Finiamo in Toscana. Incontriamo un gentilissimo francese (di Cognac) che ha sposato un’italiana e si è innamorato della toscana. Così da un po’ di tempo produce del vino italiano. Che storia! E’ molto gentile e ci parla per parecchi minuti, mentre ci fa degustare i suoi prodotti. Ma ecco che arriva il terribile danaroso  cliente giapponese che attrae l’attenzione del franco-toscano. Arrivederci. E’ stato un piacere. Dovrebbero dare più attenzione ai giornalisti! Invece ci snobbano un po’ tutti!

  

E’ tardi. Cerchiamo un vino friulano di cui non ricordo il nome e ci ritroviamo in Trentino. Come avete capito Piemonte a parte siamo sempre finiti in posti che non stavamo cercando. Assaggiamo.

Tre e mezza. E’ il caso di avviarsi verso la stazione. Usciamo nel piazzale e incontriamo Davide, che non ha ancora toccato nulla. Malissimo! Poi Federico lo porterà a spasso. Davide ci scatta una foto e io saluto il paradiso. Esco e trovo il bus navetta per la stazione. Dieci minuti e riesco a rimanere sveglio. Poi mi siedo in sala d’attesa. Che fatica! Sul treno cerco di leggere, ma mi addormento. Ad un certo punto riprendo i sensi e vedo che il treno si è fermato in una stazione. “Dove siamo?” domando (forse urlando) un po’ impaurito. Mi rispondono che siamo a Desenzano, la prossima sarà Brescia. Mi accorgo di avere ancora al collo il pass. Arrivato a Brescia bevo due caffè, mi muovo un po’ e sono in grande forma. Prendo la Twingo e parto. C’è un bivio e non so se svoltare a destra o a sinistra. Ci sono due cartelli verdi che indicano l’autostrada. Cerco di leggere la direzione e mi squilla il telefono. Metto giù, ma nel frattempo ho sbagliato, sono andato a destra anziché a sinistra. Mio padre mi chiama sempre nel momento più indicato! Per fortuna recupero in pochi minuti e arrivo sano, salvo e sveglio a casa. Una doccia. Mangio qualcosa ed è già ora di andare a teatro, al Ponchielli. C’è una giovane orchestra tedesca che esegue il Concerto n. 2 in sol minore per violino di Prokof’ev e la Sinfonia n.7 in do maggiore “Leningrado” di Sostakovic.

Così si chiude questa intensa giornata!

 

 

 

Sir Gastroegoista