Da un numero ? di tanto tempo fa di alias, un articolo che voglio proporre anche per smorzare la tensione tra il Gastro e il Cappella: incontri evolutivi tra tradizione de coccio e jazz, passando per il pop.

E tante, tantissime capre.

 

Pocharello

 

 

 

DALLE LAUNEDDAS AL JAZZ: FLUSSO DI NOTE E DI NOMI

 

Sono due gli elementi espressivi che più direttamente richiamano al patrimonio etnomusicale sardo: il “canto a tenores” e il suono delle launeddas.

Il “canto a tenores”, straordinario esempio di accordo a quattro voci esclusivamente maschili, punta ora al riconoscimento da parte dell’Unesco quale “patrimonio immateriale dell’umanità”. Dal nuorese arrivano le formazioni che hanno diffuso nel mondo questo ancestrale canto: i Remunnu ‘e Locu di Bitti, giusto dieci anni fa entrati nell’orbita del festival Womad e della Real World di Peter Gabriel, i  Mialinu Pira, ancora da Bitti espressione della nuova generazione, i San Gavino di Oniferi.

Analoga notorietà nazionale hanno i tenores di Neoneli, che in alcuni loro progetti hanno coinvolto persino Elio o Francesco Guccini. Le launeddas hanno in Luigi Lai da San Vito nel Sarrabus la loro massima espressione tecnicamente insuperabile. Ma altri giovani promettenti si affacciano sulla scena, come Andrea Pisu, appena ventenne di Villaputzu, ancora nel Sarrabus, illuminato dall’emulazione di uno stile che fu dell’inarrivabile Efisio Melis.

La traduzione si affida anche ad un altro grande e apprezzato strumentista, il suonatore di organetto diatonico di Irgoli Totore (lol!) Chessa. Ma a stupire chi contempla il variegato panorama di voci e suoni della tradizione sarda è anche la straordinaria capacità di rivitalizzarlo, riformularlo in nuovi modelli espressivi, moderni ma rispettosi delle radici.
A segnare la scena “neotradizionale”, da ormai oltre vent’anni, ci sono formazioni come quella che fa capo a Elena Ledda, in assoluto, dopo la scomparsa dieci anni fa di Maria Carta, la voce femminile più rappresentativa della scena sarda; i cordas et Cannas di Olbia, portatori di grande energia sonora; i Calic di Alghero, cui si deve un ragionato recupero dei motivi della tradizione catalana; gli Argia, pronti a strizzare l’occhio al jazz. Né vanno dimenticati lo storico accompagnatore di Elena Ledda, Mauro Palmas e il sassofonista nuorese Gavino Murgia, elemento stabile oggi nella formazione del suonatore di oud Rabih Abou-Khalil.

Si è imposto da anni anche il filone della canzone d’autore “in limba” grazie a Piero Marras. O la via sarda al rock o a certo pop di consumo che strizza l’occhio ai motivi sardi privilegiando la lingua, indicata agli inizi degli anni novanta dai sassaresi Tazenda, ancora oggi in piena attività dopo il distacco del loro “front man” il cantante Parodi.

Parodi, incrociando sulla sua strada persino Noa e Al Di Meola, ha avviato un itinerario in cui ancora più forte è la commistione di motivi sardi con altre culture mediterranee.

Del recupero della tradizione sarda e di una sua rilettura che non tramortisse la natura originale si è fatto paladino anche l’ex Stormy Six Pino Martini con il progetto Tancaruja. Altri ancora come il tempiese Sandro Fresi, effettuano rigorose ricerche sul patrimonio musicale e tradizionale gallurese e corso.

Con il carlofortino Mario Brai emerge anche un’altra isola linguistica quella tabarkina dell’isola di San Pietro.

Perfino l’ultimo movimento in ordine di tempo approdato sull’isola, il rap, ha scoperto potenzialità sarde. Ne danno prova convincente i Malos Cantores, che già nel nuovo nome denunciano apertamente la loro ispirazione base dalla storica tradizione dei poeti improvvisatori sardi, i cantadores. O il duo nuorese dei Menhir, con un più meticoloso inserimento di elementi propri della tradizione etnica.

Nutrita anche la pattuglia di nuove voci femminili.

Sulla scena si è presentata anche Marisa Sannia, totalmente trasformata, abbracciando anche lei l’uso di testi sardi su ballate.

Le Balentes, responsabili con la complicità di Rosella Faa del tormentone estivo dello scorso anno “Cixiri” (???, n.d.r), propongono anche ardite riletture di elementi della tradizione sarda con complesse strutture vocali.

La più bella sorpresa di questi anni è però l’algherese Franca Masu che bruciando le tappe ha costruito uno stile interprestativo estremamente personale per i suoi canti in catalano.

Una linea di recupero anticonvenzionale di moduli tradizionali la traccia anche Clara Murias, cimentatasi in prodigiosa rilettura del “Deus ti salvet Maria” arrangiata da Ennio Morricone.

Anche il jazz è rimasto affascinato di suoni primitivi della musica popolare della nostra isola. Se ne fa artefice anche il jazzista sardo più noto a livello internazionale Paolo Fresu con la colonna sonora elaborata per “Sonos ‘e memoria” film documentario del regista Gianfranco Cabiddu.

Particolarmente ardita e ricercata la fusione tra sonorità etniche e elementi jazzistici maturata dall’algherese Enzo Favata ed esaltata in progetti come “Voyage en Sardaigne”.

Di questi ultimi anni il lavoro di ricerca effettuato da chitarrista di Palau Paolo Angeli che esplora la musica dall’avanguardia al jazz. Al punto da essersi fatto costruire una chitarra ad hoc, elaborazione di quella sarda, che ha impressionato perfino Pat etheny: il musicista ne ha commissionato una analoga che gli è stata consegnata nel 2003.

Elaborano con grande originalità anche le chitarre del cagliaritano Bebo Ferra, da tempo stabilitosi a Milano, e l’olbiese Marino De Rosas.

Tutti questi esempi rtestimoniano della possibilità nella cultura locale per trovarvi nuovi spunti ispirativi.

Anche perché la tradizione sarda ha un suo forse impercettibile dinamismo, non può essere interpretata come un reperto museale immutabile nel tempo.