Quella vacca potrebbe essere tua sorella
Testo e Fotografie: Dr. Gonzo
Come si può essere sospettosi di animali
miti e inerti come le vacche? Già nel Neolitico, durante la prima grande rivoluzione umana, ovvero quando Caino uccise Abele e
da pastori-cacciatori semi nomadi si diventò
agricoltori-allevatori stanziali, probabilmente l’uomo ebbe
a che fare con i progenitori delle vacche di oggi,
progenitori che con le tecniche di “ingegneria”,
o meglio di ingegno genetico modificò
a proprio piacimento, rendendo la loro
progenie, fertile e produttiva, docile e
mansueta. Queste sono le caratteristiche della vacca moderna (Bos Taurus), che
sempre
più sembra avvicinarsi alla concezione
cartesiana di animale come macchina, ma una macchina senza ingranaggi metallici
ed alti voltaggi con i quali provocare danni all’uomo, quindi un congegno
innocuo ed inoffensivo, senza necessità di limiti o leggi della robotica per
non costituire un problema all’umanità. Questa meccanizzazione dell’animale,
ottenuta tramite milioni di innesti ed incroci, ha
fatto sì che oggi le mammelle ricolme delle vacche quasi sfiorino il terreno,
le gambe magre capaci a stento di sostenere il peso del ventre gonfio di
filetti e lombi siano praticamente immobili, la coda inutile all’equilibrio, ma buona
solo per scacciare mosche e tafani. Come tutti sappiamo,
la vacca è un animale erbivoro, che ha perso però la capacità di fuggire dai
predatori (di naturali non ne ha, a parte l’orso Bruno), l’osservatore che la
definisce agile e dinamica denota uno scarso grado di attenzione e di
dimestichezza con tali animali. I suoi “quattro stomaci” la rendono poco
aerodinamica e le sue proporzioni non si possono dire aggraziate. Anche i più
timidi fra gli Indiani, che in Oriente le venerano a mo’ di divinità, qui da
noi non le disdegnano come amanti notturne e riservate, e non mi risulta vi siano mai stati incidenti fra gli olivastri stalloni durante
l’effusioni amorose.
Viaggiando, m’è capitato più volte di incrociare il mio
sguardo con quello pacato ed acquoso di giovenche e
bovini in genere. Quella volta in terra d’Oltralpe, mi pare avvicinandoci a Besancon, fummo accolti – vi ricordate
Brindone e Poncharello? – dalla prima delle tante
mandrie che accompagnarono in
seguito il nostro lungo cammino. Ci stupimmo del colore cioccolato-al-latte che predominava nettamente su
quello a chiazze bianche e nere, nostrano e abituale. Incuriosite dal nostro
interesse, ci scrutarono un po’, lasciandosi fotografare ed assumendo talvolta
le pose più accattivanti che questi animali
possono mostrare. Non mi pare che avessero dimostrato
atteggiamenti negativi o minacciosi nei nostri confronti; il loro ruminare
incessante si interruppe giusto il tempo per le fotografie. E queste vacche
erano allevate all’aperto, nei pascoli francesi, che nulla hanno
a che vedere con le nostre tremende fabbriche
di latte e carne. Il latte francese è evidentemente migliore del nostro, è
l’unica cosa che i nostri cugini un po’ effemminati
possono fare meglio di noi. Non è da disdegnare, però, il latte trentino (vedi
riquadro).
Non mi resta che travestirmi da commerciante di bestiame,
quale era mio nonno, e salutarvi, ricordandovi ancora una volta che non bisogna
temere le vacche.
Mandrie trentine
Ericuccia alle Cascate di Nardis Un pascolo in Val Genova,
Trentino.
Al rifugio delle Cascate,
una mandria in transumanza si riposa. Le vacche non sono guidate da un
pastore, ma conoscono il lungo percorso verso casa. Non è
difficile avvicinarle, basta avere chiari in mente i consigli del
mio maestro C. Dundee.
In Trentino, le vacche
hanno la precedenza.