Match Point di Woody Allen

Gbr,2005

 

 

 

Che Match Point sia un ottimo film, lo dicono tutti e lo dico anch’io. Ma non penso si tratti di un film eccellente. Non c’è dubbio: Woody Allen ci ha stupito con questo cocktail di elementi drammatici e sentimentali, polizieschi e sociologici, letterari e storici. Ci aveva abituati ad un cinismo anticonformistico che si rivolgeva all’analisi psicologica, quindi all’uomo e ai suoi problemi profondamente quotidiani. Non si può dire che il tema sia cambiato, mentre il genere è mutato dalla commedia paradossale a qualcosa di eterogeneo ma perfettamente concluso e realizzato. La storia, ambientata a Londra, capitale di una davvero cool Britannia, è la scalata sociale –forse troppo ripida- di Chris, un giovane insegnante di tennis che dal gioco ha imparato a riconoscere il peso della fortuna nei fatti umani. In un certo senso la fortuna gli fa conoscere una giovane, carina e ricchissima, della quale si innamora. Tuttavia, mentre  arriva alle nozze con l’ereditiera (con la stessa rapidità con cui racconto la vicenda), l’ambizioso ma ancora ingenuo Chris sviluppa un legame passionale e fatale con la smaliziata Nola, americana, ex-fidanzata del suo migliore amico. Le due storie proseguono in parallelo, finchè l’annuncio dell’arrivo di un figlio per Nola non scatena in Chris prima l’angoscia, poi la follia. L’omicidio appare l’unico mezzo per scongiurare una caduta agli inferi (di una vita piccolo-borghese), e per tacitare i fantasmi della coscienza. La prima sarà evitata, mentre gli spettri non lo abbandoneranno più.

Per Woody Allen delitto e castigo non si accompagnano in un mondo essenzialmente dominato da leggi meccanicistiche. Così, mentre Dostoevskij è indicato nel film stesso come modello letterario fondamentale, Marx sembra tacitamente ispirare il regista nell’architettura della storia, dove è il salto sociale e l’incapacità di rinunciare allo status quo a determinare il delitto. In questo modo il film oscilla fra il peso conferito alla fortuna e il ruolo forse preponderante del determinismo in cui non c’è posto per una morale; due aspetti che possono sembrare equivalenti ma che sono essenzialmente diversi. Da una parte una Fortuna evocata come deus ex machina, dall’altra l’atea concezione dell’ingranaggio sociale, ultima ratio della realtà. E qui Allen pare far confusione. Comunque il film è incentrato sul ruolo della fortuna, perché così letteralmente si dice e si fa capire.  Eppure pare esasperato il suo peso quando la casuale morte di un tossico che casualmente aveva raccolto la prova più importante per le indagini determina l’impunità del delitto. Il meccanismo analogico è geniale: la vita è come una partita di tennis (vedere per credere). Ciononostante, mentre il rimbalzo della pallina prima o dopo la rete produce la vittoria o la sconfitta (immediate, è un match point), la raccolta di un oggetto da parte di un terzo ha bisogno di un mezzo per farsi decisiva: la morte del terzo. Un’asimmetria evidente e trascurata. Per concludere l’elenco dei peccati veniali di Allen, al miglior Hitchcock (cui per certi versi è stato associato il film ) non sarebbe sfuggito il fatto che l’uccisione in un comune episodio di furto con un fucile da caccia difficilmente è ascrivibile ad un tossicomane disperato. Quanto meno ciò dovrebbe far interrogare gli inquirenti. Nell’indagine la fretta non paga; ed infatti i poliziotti falliscono.

Match Point è un film con interpretazioni eccellenti, sottigliezze d’autore, ritratti a tutto tondo, spunti filosofici. Woody Allen si tuffa nel realismo e realizza forse la sua migliore opera degli ultimi tempi, quella che meglio incarna la sua visione pessimistica delle cose. E’certamente questo il fine del regista; quel che ci permette di perdonarlo di alcune accessorie lacune.