Bravo Brindone chè ti dai da fare.
Io dico, chi meglio di te può gestire questo spazio letterario che
tu stesso nominasti “Libri?” (vedi oltre)? Forse John
Wayne alias Chicco. Ok, voi
due vi beccate lo spazio sui libri e sulle robe noiose letterarie o storiche (come è finita la battaglia sulla Marna?)
Copio e incollo sotto tutto il materiale che mi hai inviato perché
i collegamenti intertestuali mi impallano word ed è
ogni volta un casino. Questo spazio è tuo e di Chicco, ma ciò non significa che
non possa ospitare le recensioni o i consigli di
altri. (Comunque vediamo bene come impostare il tutto,
vedete un po’ voi.)
Così come ipdAC e Marcoz
Dega avranno il loro spazio sul cinema (e Callas? dove sei?!?!?)- li invito ad aprire una discussione al più
presto – e Capitan Cappella e Gastro sulla musica
(attendiamo che finisca il loro diverbio e che si trovi una soluzione). Gli
altri mi dicano un po’ loro cosa vogliono fare. Si
possono gestire anche più argomenti contemporaneamente!
Libri?
S.V.V.B.E.E.Q.M.V (Se vu’alter stìi béen,
mei cusè; me sto ben l’istés.)
Con queste ultime, enigmatiche righe vergate
sullo sfondo che ha segnato i momenti migliori della sua permanenza tra le pagine della Banda, Francis Scott, meglio noto al
correttore ortografico di word come Francio, saluta e se ne va.
Traumatizzato da un tragicomico incidente auto-ferroviario, si dice; gettato in
un cassonetto mentre in stato di molesta ebbrezza pontificava sull’Unione
Europea, forse; o semplicemente conscio di appartenere a un’altra epoca,
deciso, dopo questo rinnovamento nucleare del sito, ad adeguarsi sparendo al
vento fresco della novità. Ci lascia, senza rimpianti, magari col rimorso
tipicamente da Idiota dell’inconcludenza; anche con qualche soddisfazione,
pensiamo – tipo aver appioppato al Gastroegoista
questo soprannome in cui a quanto pare si è così ben ritrovato / identificato /
immedesimato… A noi piace ricordarlo così, sorridente bollicina nella grande birra di Dio.
Al suo posto, lascia
l’erede spirituale e cromatico Brindone, che
incomincerà a tediarvi già da ora con quella boria da storico incensatore che
avete già imparato ad apprezzare.
E che inaugura la sua attività di pseudo–recensore
della rubrica “culturale” * parlandovi proprio di un personaggio infinitamente più storico ma anche
assai più incensatore di lui. Eh sì, mi riferisco proprio
a quel Sergio Romano che tanto appassiona Degababa…
Citato proprio da lui qualche tempo or sono nei furori della musical contesa **; apparso di persona a me medesimo in
un’incartapecorita epifania di divina e un po’ spocchiosa sapienza, mentre
teneva quella che da taluni in seguito fu definita “conferenza di grande
interesse sul modello liberale europeo”, da talaltri
“il degrado della storia a chiacchiera da bar” ***;
e quindi ultimamente riletto in occasione della caduta dallo scaffale di un suo
volumetto di qualche anno fa, fa ora la sua comparsa
anche sullo sfondo celeste – in modo del tutto casuale: è la prima recensione
che m’è venuta in mente.
Sergio Romano
Il rischio americano
Longanesi & C., 2003; 128 pg.
Il libello effettivamente è di qualche anno fa - e in un campo
fluido come la politica internazionale, gli anni lasciano inevitabilmente il
segno su un’opera che non vuole essere ancora di storia, ma piuttosto di attualità; offre comunque l’occasione per qualche
considerazione interessante. In primis: certo che Francis
Scott era un gran imbecille,
se ha comprato un libretto di 128 pagine – piccolo formato, beninteso - scritto
in carattere times 18 al modico prezzo di euro 10
(dieci!!). Praticamente, ogni capitolo raggiunge più o
meno la lunghezza della solita romanata in fondo al
Corriere.
Al di là dello scadente rapporto quantità – prezzo, resta il
fatto che si tratta di una lettura agile e piacevole; un pahmplet
veloce, per certi versi stimolante, a tratti anche acuto, per quanto in larga
misura un po’ deja luUno
dei suoi punti di forza sta nell’essere, al contempo:
un ripasso della politica americana “arcaica” (XIX-XX sec);
un utile bigino di storia degli anni ultimi e penultimi (la
caduta del muro, la presidenza Clinton, l’11
settembre) – che non dice nulla di radicalmente sconosciuto, ma ha il pregio di
darci un abbozzo di prospettiva storica su fatti abbastanza recenti da essere
ancora cronaca –;
e insieme uno sguardo puntato su luoghi della cronaca ancora
in fieri all’epoca della pubblicazione (la guerra afgana e le sue conseguenze
politiche immediate o prevedibili) – uno sguardo peraltro ancora attuale, visto
che di quello che è successo / succede nelle valli dell’Indukush
l’opinione pubblica sa ancora poco e un cazzo. (Salvo false catture dell’Inafferrabile o imbecillità da
prima pagina, come l’ultima trovata di lanciare missili sui civili di un paese
alleato).
La guerra irachena non era ancora scoppiata, ma era chiaramente
nell’aria, e già
sollevava un gran polverone: e proprio in questa guerra prospettata e ancora
proiettata in un futuro prossimo e caliginoso, il buon Sergio sembra vedere il
crinale storico del mondo prossimo venturo, e insieme un punto di non ritorno ineludibile. Se l’Europa ha condiviso in pieno le azioni
militari del post-11 settembre, frutto di un clima di agitazione
emotiva che ha temporaneamente unificato non solo le due sponde dell’Atlantico,
ma anche i vari particolarismi in cui è frammentata la nostra tanto sospirata
Unione; e se si è soprasseduto su quella temporanea, comprensibile “febbre”
della democrazia che sono stati il Patrioct Act e tutto l’armamentario da caccia alle streghe che
predispone – fenomeno non nuovo, anche in forme più virulente, alla società
statunitense tendenzialmente, portata agli estremismi, quand’è minacciata- il
problema resta il fatto “una certa dose di retorica è fisiologica e
accettabile. I veri guai cominciano quando l’America, trascinata dalle proprie
inclinazioni morali o dalla necessità di meglio giustificare i propri
obiettivi, pretende di agire in nome di un principio ideale”, che giustifichi
non solo le azioni passate, ma presenti come giuste e inevitabili anche quelle
future, per quanto scorrette o non condivisibili dalla comunità internazionale.
Romano non ha motivo di credere in un recesso a breve della febbre, e in questo
ha azzeccato la previsione (non che ci volesse un Nostradamus,
in effetti…) – la situazione di allarme generale che
si è venuta a creare ha aperto porte nuove per l’espansione “imperiale”
americana, e come avvenuto in passato, gli USA si faranno avanti per
approfittarne (vedi l’Europa post-1945). Gli americani non sono “buoni” in
senso lato, anche se c’è chi è portato a crederlo; sono una grande
democrazia, certo, piuttosto efficiente e collaudata ma “le democrazie non sono
necessariamente sagge, e la maggioranza in molti casi può avere clamorosamente
torto.” (citiamo giusto per dare un’idea del
pessimismo cosmico del nostro…) Quello che semmai il buon Sergio non prevede
per nulla nel 2003 (e chi l’avrebbe previsto?) è la figura di merda che l’amministrazione Bush
ha rimediato e rimedia in Iraq; nel libro, sopravvaluta costantemente il
potenziale militare americano, che sarà pure globalmente “avvolgente” e
tecnologicamente insuperato, ma di fatto non è progettato per mantenere
fisicamente l’ordine in un vasto territorio occupato, e in ogni caso si
dispiega a livello regionale con costi così folli da rendere enormemente più
difficile il ripetersi dell’esperienza in altri teatri. Ironia della sorte, “il
deprimente spettacolo dei body bags che venivano caricati ogni giorno sugli aerei in partenza dagli
aeroporti vietnamiti” citato a esempio dei granchi presi in passato
dall’esercito americano, si rivela tragicamente attuale; come pure questo
“sogno di ogni esercito: combattere senza che morire” che era parso così vicino
alla realizzazione nel primo conflitto nel Golfo. I caduti americani in Iraq, a oggi, sono stati più di 2200; certo siamo lontani dai
30mila del Vietnam, ma qui siamo anche in una regione ufficialmente
“pacificata”. Nonostante tutto, la situazione che
Romano constatava nel
Brindone
*(che spero dr. Gonzo vorrà chiamare
“Libri?”, in omaggio alle salutari diatribe
ai limiti dell’empio (C.C.) che come un benefico bagno di sangue futurista stanno
salutando la nascita di questa nuova tumultuante veste della Banda di Idioti).
** cfr Marcoz 12-01 20:31:26 nel guestbook.
*** Su questa conferenza organizzata dall’Unipv
non oso esprimere giudizio, principalmente per il fatto che stipato in piedi
all’esterno di un’aula gremita me la squagliai dopo poche battute – mi bastò allora la fulgente visione del Nostro e l’averne udito
la voce.
Letture in corso
d’opera…
Il Gruppo dei Dieci
Lo Zar non è morto
Sironi Editore, 2005; 426 pag.
(parte prima: dal nostro corrispondente a metà libro)
Nel 1929 o giù di lì, un gruppo di (allora) molto apprezzati
scrittori italiani, capeggiati da Marinetti e Bontempelli, diede vita ad una
sorta di Banda di Idioti “sotto l’occhio vigile del Duce”, proponendosi di
propagare nel mondo la forza vitale della nostra letteratura; questi Dieci (i
più ormai ignoti ai più) danno vita ad una sorta di gioco – la scrittura a
venti mani di un libro, allegandovi la cedola di un concorso a premi: il
lettore che riesce per primo ad attribuire correttamente i dieci capitoli
scritti “in solo” da ognuno vince. Non sappiamo come sia andata a finire; del
romanzo, dopo il boom iniziale, si persero rapidamente le tracce (secondo
parecchi, giustamente). Ricompare oggi, recuperato dagli scaffali di un
rigattiere; si è cercato di farne un caso editoriale, cui Brindone
incuriosito prontamente abboccato ha. Il libro è effettivamente curioso: un
romanzo di fantapolitica ambientato negli anni 30, scritto da contemporanei, ha
come minimo il fascino d’antan dell’ambientazione; ma
dopo un po’ comincia inevitabilmente a stancare. Prima di
leggerlo io stesso, l’ho prestato a persona fidata, che l’ha divorato in una
giornata: ritengo che sia la cosa migliore da fare. Se si cerca di
leggerlo in modo “normale”, come sto facendo io, l’operazione perde rapidamente
valore: si incappa in tempi morti, ci si infogna nelle
dichiarazioni roboanti di personaggi improbabili (Dredd
almeno faceva battute di due/tre parole), si sbatte la testa in siparietti fascistoidi disgustosi. Diluite nel complessivo scorrere
della trama, tali bischerate sono probabilmente di
più facile digestione; perché tutto sommato – lungi dall’essere divertente come
si millanta nella prefazione – questo “grande romanzo
di avventure” (così il sottotitolo originale) non manca comunque né di colpi di
scena, né di invenzioni brillanti, né di location di tutto rispetto, dalla
Città Proibita ai vicoli di Istanbul. E ha il suo peso
nel colpire l’immaginazione l’impressione surreale di un mondo “diverso”, dove
americani e tedeschi sono semplicemente insignificanti, i francesi sono
sfigatissimi, e il destino dell’umanità minacciata dal bolscevismo è nelle mani
dei valorosi agenti segreti inglesi e italiani. Mah.
Brindone
Allego di seguito l’iscrizione di Brindane che è la migliore:
Modulo
di Richiesta
per la nomina di Idiota
Io
sottoscritto Brindone chiedo umilmente di diventare Idiota.
Sono
a conoscenza del fatto che ciò significa che:
a) Il mio Q.I. non è
esprimibile in numeri interi
b) Amerò gli Idioti più
di altre cose
c) Mi preoccuperò (in
tutti i sensi) delle attività e degli scopi – anche se non ancora ben definiti
– della Banda degli Idioti in modo decente
d) Concederò il mio corpo a dr.gonzo
(solo per superfighe! Non è il tuo caso Rango, t’ho già detto di no, è inutile che insisti)
e) Farò tutto ciò che è
in mio potere per migliorare il Sito e promuoverlo nel mio habitat
naturale
f) Suggerirò a dr.gonzo nuovi
propositi nel caso in cui mi venissero in mente.
Brindone
(già Francis
Scott)
Tanto di
immagini mie ne hai più tu di me. Ma queste sono significative. Si
potrebbero definire eponime.
Gusti. Brainstorming. Se mi chiaman Brindone
c’è un motivo, direi. Me piàas el rus, el
bianc, la bìra e verghota d’alter. Che non cito per
mancanza di spazio. Apprezzo la cucina cremonese,
provo un disgusto immotivato per le zucchine. Amo la fantascienza, il fantasy (su carta stampata e al cinema, sia i classici, da Tolkien a Star Wars vecchia
maniera, che i moderni, G.R.R. Martin,
Eva, qualche volta Evangelisti e chi più ne ha – ma cerco di non lasciarmi irretire
dalla molta spazzatura in circolo), il romanzo specie storico (ho appena finito
Guerra e Pace) ma leggo un po’ di tutto, a seconda dei periodi. Adesso sono in fase Vazquez Montalban
– vedi recensioni a breve. Amo la storia, un po’ tutta, dall’età del
bronzo agli anni ‘90. Credo nell’Europa unita, avrei tifato per Napoleone,
aspetto l’arrivo dei vulcaniani sulla Terra. Non sono
musicalmente competente come il Gastroegoista, ma ascolto in genere musica classica, con grande affetto
per la lirica, Puccini in specie. Se
Vecchioni cantasse soltanto, senza fare girotondi e
battute del cazzo, sarebbe quasi –quasi- perfetto nel
suo genere. Mi picco di scrivere ma non produco
pressoché nulla per noia e imbecillità. Mi ostino a giocare a scacchi ma sono gramo come il rudo.
Sto affinando la mia abilità nel Monopoli e nel Risiko.
Per il cinema mi affido a Callas.