UNO SGUARDO ALL’ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

 

 

Era già da un po’ che volevo buttar giù due righe su questa meravigliosa raccolta di poesie –epitaffi datate (ma leggendole non pare proprio) 1915 e firmate da un grande Edgar Lee Masters. Un libro simile di poesie scivola, è il caso di dirlo, in pochissimo tempo: è leggero e non appesantito da  quel tono aulico della poesia ottocentesca che la rende ostica ai più. Lo stesso Masters volle usare uno stile più vicino alla prosa che alla poesia vera e propria. L’ispirazione è evidente se si rilegge l’Antologia Palatina ma l’idea è totalmente nuova: l’Autore dell’Antologia di Spoon River desidera parlare degli uomini e delle donne che riposano sulla collina, rappresentanti di quella umanità che dappertutto è animata dagli stessi vizi e dalle stesse virtù. Il fatto che siano morti permette loro di trarre un bilancio delle loro esistenze, non tanto in termini di felicità quanto di successo: la vita è un’occasione irrepetibile per compiere un qualcosa che ci siamo prefitti. C’è fra loro un inventore che desiderava costruire la macchina volante, un altro che per vendicarsi delle derisioni che subiva per la statura bassa diventa giudice e “gliela fa pagare”, un’attricetta che tentò fortuna a Broadway. Non c’è troppo spazio per visioni eccessivamente morali: il bello è che queste “voci” ci raccontano la loro esistenza, le loro scelte dal proprio punto di vista. Sono loro a parlare di loro il che è geniale: quante volte noi stessi abbiamo compiuto qualche azione giudicata dagli altri negativamente, ai nostri occhi tuttavia giustificabilissima? Lo stesso giudice Selah Lively (il giudice di De Andrè) trova naturalissimo (“Well, don’t you think it was natural to make it hard for them all?”) vendicarsi dei suoi sbeffeggiatori.

Non potrei chiudere così questa breve e, purtroppo, poco esaustiva, “chiacchierata” su Spoon River senza parlare del favoloso disco che Fabrizio De Andrè ha tratto nel 1971 dal libro: “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” contenente alcune dei più bei epitaffi dell’Antologia come “Un Chimico” (da Trainor farmacista), “Un Giudice” (da Il giudice Selah Lively) e la mitica “Sulla Collina” (dalla poesia che apre la raccolta di Masters). Al genio dell’Antologia viene aggiunto, in questo disco, l’estro poetico di De Andrè, un connubio davvero irresistibile, ripreso in modo egregio recentemente da Morgan, che ha suonato il disco in toto  al Monumentale di Milano a giugno 2005. Un peccato davvero esserselo persi!

Per chi mastica un po’ l’inglese e desidera leggersi le poesie in lingua originale (non sono così complesse, credetemi) segnalo un sito, al quale potrete trovare anche altri autori americani dell’otto e novecento in lingua inglese: www.bartleby.com

Il Vostro affezionatissimo