La Forra

Pieve di Tremosine

Sopra la Gardesana Occidentale, all’altezza di Limone.

 

 

 

La strada per arrivarci è incredibile: un serpente avvinghiato alla roccia nuda. Si lascia la Gardesana Occidentale imboccando una galleria, e la strada comincia a salire; un alternarsi di buio e luce, gallerie nella pietra nuda e il panorama mozzafiato verso Est si rubano il vostro sguardo senza tregua. Se incrociate una macchina che scende, pregate gli dei, perché uno solo non basta di certo. Ma ne vale la pena, intendo di rischiare di volare giù nel Lago di Garda, con macchina e tutto, perché è difficile altrimenti poter avere una visuale del genere del Monte Baldo, dall’altra parte, sulla sponda veronese del lago.

Pian piano le gallerie sembrano avere il sopravvento, “dove mi stanno portando?” vi capita di pensare dal sedile posteriore. La strada s’incunea in profonde rughe della montagna segnandone la superficie poco assolata. Ogni tanto ci pensano il  lago e il Monte Baldo a farvi orientare di nuovo, poi ritornano le gallerie. L’ultima è la più lunga e buia, quasi fosse stata progettata per aumentare l’attesa e la meraviglia, che proverete una volta arrivati dall’altra parte; non appena la luce li colpirà, i vostri occhi ansiosi scorgeranno il ruscello che li guiderà verso il vostro obiettivo, l’Ultima Casa Accogliente, il ristorante la Forra.

C’è la possibilità di mangiare all’aperto, trai gerani rossi, ma bisogna specificarlo alla prenotazione. Dentro, il posto è senza infamia né lode, tutto sommato accogliente; unica nota veramente negativa è la testa di un cervo imbalsamato, tra l’altro finta, considerando le dimensioni ed il fatto che le corna sembrino di plastica e ricavate da due unicorni, in modo che non piaccia né a noi amanti degli animali, né, credo, ai cacciatori più sanguinari. Il menù prevede un’ampia scelta, anche per chi non mangia carne. C’è anche la pizza, ma nessuno di noi l’ha presa. Come antipasto ho ordinato verdure alla griglia, mentre i miei commensali, vogliosi di pesce, hanno preso pepata di cozze  - “la più buona che abbia mai mangiato” dice Ericuccia – ma si sono concessi anche affettati misti tipici. Poi tagliolini asparagi e gamberi per Ericuccia, l’Anto ed io abbiamo spazzato gnocchi al tartufo di Tremosine – una versione opaca di quello piemontese, Gheba spaghetti allo scoglio e Patrick linguine alle vongole. Mi chiedo tuttora che cosa avesse a che fare quel posto col pesce, ma, a quanto pare, è la loro specialità, pesce di mare e pesce di lago e fiume. Naturalmente s’è ordinata una caraffa di vino bianco, di cui l’Ericuccia ha abusato:

Il secondo non l’ha preso nessuno, ma siamo passati al caffè direttamente, poiché le porzioni erano davvero abbondanti, sicuramente più dei soldi nei portafogli. Ci hanno offerto pure il limoncello, che ho dovuto accettare con rammarico, visto che ero riuscito eroicamente a trattenermi dal vinello, poi ci siamo chiesti se non fosse il caso di portare l’Ericuccia in una comunità. Alla fin della fiera abbiamo speso 16 euro a testa circa.

Nel ritorno abbiamo percorso una strada alternativa, passando sopra al ponte (vedi foto), guidati dal navigatore satellitare di Patrick, Tomtom, che ho guardato per tutto il viaggio, e mi viene ancora la nausea adesso, se ci penso.

 

Foto: