MANGIARBERE – Bouillon Chartier, Parigi
Ristorante nel 9° arrondissement
rue de Fauburg-Montmartre, 7 (due passi dalla fermata Grands-Boulevards della metro)
Sempre aperto, dalle 11.30
alle 15 e dalle 18 alle 22
Un punto di riferimento collaudato per l’Idiota
in trasferta a Parigi; e non solo per la “garanzia di mangiare, per poco, un
cibo passabile anche se i piatti non sono sempre perfettamente caldi”, come
recita la guida Routard, affidabile compagna e
navigata maestra del viaggiatore che non voglia essere
solo un turista. Non che si mangi sto gran bene, da Chartier, intendiamoci. Non che non sia “turistico” – i
turisti sono il grosso della clientela, checché se ne dica.
E’ una questione d’ambiente; una questione di stile.
Camminate per un po’ nel “triangolo delle Bermuda” a pochi isolati da qui, tra
Place Vendome/l’Opera Garnier/
Il menu, a occhio e croce, è lo stesso di tre
anni fa: un foglio delle dimensioni di un manifesto cinematografico lungo cui
si allineano ventidue entrèes, sette piatti di pesce, quindici piatti
principali più i vari contorti, dessert, gelati etc. etc. C’è l’imbarazzo della
scelta, direi; nonché la prova provata che la cucina francese non è solo la
nouvelle cousine dello stereotipo né il poulet con le patatine fritte e la
moutarde del tubetto che ci ha inseguito nel nostro lungo viaggio tra l’Italia
e le coste del nord l’estate scorsa. C’è un’ampia zona intermedia, di onesta cucina più o meno casereccia, dai gusti meno
ostili di quel che si possa pensare, che si declina senza colpi di testa
particolari sulle lavagnette dei bistrot e dei ristorantini segnalati dalle
guide nelle vie laterali, e che da Chartier troviamo esaustivamente
riassunta senza troppe pretese di raffinatezza. Tutti i classici per ogni
palato, banali se volete, ma sempre piacevoli: i piatti di carne e pesce
“piani” e solidi della tradizione, con qualche exploit brindoniano
come la testa di vitello, antipasti stuzzicanti come lumache, prosciutto di Bayonne, avocado con i gamberetti, e quel delizioso filetto
di aringa affumicato con la vinaigrette;
e una tentatrice selezione di formaggi con la controindicazione della
radioattività (provare per credere!). sono mediamente
più vicini al nostro palato che nel resto dei ristoranti che ci sia capitato di
provare, senza sfoggio eccessivo di quegli intingoli che io trovo molto
apprezzabili ma che per chi viene dalla parte “giusta” delle Alpi sono
solitamente alieni. Punto di forza è il vino: non tanto perché il cuvèe Chartier imbottigliato per
il ristorante, un rosso leggero e di compagnia, sia eccellente, ma perché lo
trovate (ed è cosa ben rara, in questa città dove l’acqua costa più di una
birra media da noi) a prezzi “italiani” – con l’handicap che ai francesi è irreversibilmente ignoto il concetto di “caraffa da ¼, ½,
Un posto simpatico, pittoresco e chiassoso,
dove vale sempre la pena di aspettare un po’ per sedersi – a onor del vero, stavolta
a me e a Callas è andata bene, giacchè
di coda non ce n’era proprio; ma io, Gastro e Gonzo a
suo tempo siamo stati perfino costretti a sloggiare per il sopraggiunto orario
di chiusura. Salvo venir reindirizzati da un maitre
con i baffi alla Kit Carson su un certo ristorante “Kitchen”, che si rivelò, questo si, il prototipo della
cucina che tutti aborriamo, fighetta ed estremamente
design. Il contrario speculare del Bouillon Chartier.