Radio America

di Robert Altman

 

“Oh, o il film era brutto, o io non l’ho capito. (Susanna, l’amica di Irene)

Ora io non vi sto a spiegare chi sono Susanna e Irene, però questa è la seconda volta che sento pronunciare la stessa identica frase da due persone distinte (Susanna e la sottoscritta, si lo so che il campione non è significativo) in relazione al film che mi accingo a recensire.

L’impressione è questa, per farla breve: non è un film. Mi spiego, ché qualcuno di voi già sta già sguainando la spada in difesa del regista di Nashville e MASH (questo per dire che un po’ di cultura ce l’ho anch’io). Sembra di entrare nel cinema a film già iniziato e di uscirne poco prima che il film sia finito, sembra di guardare per un attimo – e in modo disattento – Meryl Streep e sua figlia che cantano in questa radio di provincia e i cowboy fintoautentici che raccontano badjokes al microfono (l’imbarazzo che ho provato mentre brindone rideva ad altissima voce in una sala di simpatiche coppie di quarantenni alla battuta sulla mucca pazza – ve la spiegherà lui, io non posso mettere altri incisi - ve lo lascio solo immaginare..). Insomma, non è un film corale come Nashville, dove le storie s’intrecciano e si mescolano, ma soprattutto iniziano e finiscono. Secondo punto: non so voi che idea avete delle radio, ma io sinceramente non riesco a calarmi in quest’atmosfera che tutti i critici sembrano conoscere come le loro tasche del “fenomeno delle radio di provincia americane”. Col rischio di prendermela con gli americani, oltre che con gli ascoltatori delle piccole radio di provincia, io mi commuovo sì ma fino ad un certo punto se una radio sta chiudendo, insomma non vedo che c’è di così malinconico e bellissimo e dolce (sempre per citare i critici). Terzo punto: non mi venite a dire che Virginia Madsen (l’angelo) è una bonazza, perché se è così allora IO sono Nicole Kidman.

Finito.