Robert A. Heinlein
Fanteria dello Spazio
Mondadori, 1998; 283 pg.
Pubblicato per la prima volta nel 1959, suscitò subito un vespaio,
perché troppo “cinico e violento”, anche a detta della stessa casa editrice,
che lo rifiutò decisamente, nonostante i precedenti
dodici lavori di Heinlein avessero conosciuto sempre
un ottimo successo di critica e pubblico (molto risentito, l’autore calcolò che
grazie al suo lavoro, mr.Scribner avesse guadagnato
tra i 50 e i 100mila dollari – degli anni ‘50, ricordiamo…).
Il giudizio, oggi, ci fa sorridere – i parametri del “cinico e
violento” sono molto cambiati, ovviamente; ma bisogna ammettere che R.A.H. usò la mano pesante, in questo breve “romanzo per
ragazzi” (come lo definiva lui). Era l’epoca dell’America di Eisenhower, ricca e potente, tronfia di opulenza da inizio-del-consumismo-di-massa e di certezze ideologiche
liberali e liberiste - e Heinlein se ne veniva fuori
con una storia a tinte fosche, che parlava di ragazzi di vent’anni
mandati a morire in modo orribile su campi di battaglia lontani anni luce. Fin
qui, in effetti, niente di radicalmente eccezionale, se non la descrizione
cruda e dura di una vita militare (che Heinlein,
soldato di formazione, conosceva particolarmente bene) assolutamente realistica,
al di là delle armi nucleari portatili, delle tute da
combattimento super-tecnologiche, delle astronavi, ovviamente! - tutto sommato una novità per la fantascienza, e la letteratura in
generale, di un’epoca che non aveva ancora avuto Full Metal Jacket;
il problema vero era quel che ci stava dietro – l’ideologia, allora definita
“militarista”, la critica spietata della società contemporanea priva di reale
senso civico, l’insoddisfazione per una civiltà che delle libertà fondamentali
fa il suo vessillo senza però sapere o volere educare correttamente i suoi
cittadini. Nessuno per Heinlein nasce con un
senso morale infuso: è la società che ha il compito di creare la coscienza
degli uomini – e il fatto che nel XX secolo esistano
così tanti criminali e fenomeni aberranti come la “delinquenza minorile”,
nonostante l’oggettiva crescita della civiltà umana, è uno dei tanti segni del
suo cattivo funzionamento. All’opinione pubblica menefreghista e facilmente
abbindolabile dell’America ”borghese” ricca e tronfia dopo una guerra mondiale
vinta senza che la sua gente la vivesse sulla pelle, Heinlein vuole ricordare che tutto ha un prezzo, la libertà
in primis, e poi la felicità, la giustizia e tutti i valori fondamentali. Per
fare questo, crea un mondo del futuro dove l’unico diritto negato alla gran
massa della popolazione – ai civili – è quello di voto: che può essere
esercitato solo da coloro che hanno prestato servizio
militare. Non so dire fino a che punto Heinlein credesse veramente a quel che scriveva, e dove cominciasse
la provocazione; di certo, era piuttosto disilluso sul suo tempo, e decisamente
incazzato, e nutriva una fiducia notevole nel mondo
militare, con i suoi valori di lealtà, cameratismo, esaltazione del sacrificio
e dello spirito di corpo, come custode della libertà e del bene dei cittadini.
Bisogna dire che H. in
questo risente comunque del portato della sua epoca: si era negli anni di più
rigida contrapposizione con l’URSS, e il Vietnam non aveva ancora mostrato agli
americani il lato “sporco” del mondo reale, né l’inefficienza e il marciume del
suo esercito; l’autore stesso insinua in varie occasioni il dubbio sulla reale
efficacia del sistema teorizzato; e certe cose come le fustigazioni pubbliche
sembrano più che altro una forzatura in senso polemico.
Di sicuro, i lettori di fantascienza apprezzarono l’opera, che
al di là dei veri o presunti militarismi, svolge comunque con abilità il suo
compito di opera di SF: descrivere un mondo del futuro in modo credibile e
coinvolgente. Peraltro, Heinlein, un po’ come Asimov in quegli stessi anni, trascura volutamente gli
aspetti più “volgarmente” fantascientifici – morfologie aliene, motori, armi etc. etc. – e si concentra piuttosto sulla dinamica personale e sociale; cosa più strana, stiamo
parlando di un libro dichiaratamente di guerra che di guerra in definitiva
parla ben poco. Siamo realmente davanti alla battaglia solo in poche pagine,
principalmente nell’inizio -in medias res- e alla fine, e qua e là nel corso del romanzo. E anche
qui, ci ritroviamo nel mezzo della confusione, del tutto
dipendenti dalla visuale soggettiva del combattente, senza un’idea
precisa della strategia complessiva. Di fatto, H. ci
narra in prima persona la crescita personale e “militare” del soldato Johnnie della Fanteria Mobile dello
Spazio, dando una netta preponderanza al suo lungo addestramento e alla sua
vita tra un lancio di combattimento e l’altro. Pochissimo sappiamo del nemico:
sono insettoidi, sono una dittatura senza caratteri
individuali, sono molto evoluti e meglio armati degli umani (mica quegli
scarafaggi schifosi del film, per intenderci); non abbiamo
nemmeno un’idea di come vada la guerra – si capisce solo vagamente che la razza
umana è seriamente minacciata, e che le cose, almeno all’inizio, vanno molto
male.
Che dire? Un libro forse un po’ superato, per certi aspetti –
è il problema di tutta la fantascienza della Golden Age
–, per altri forse decisamente reazionario, ma si
lascia leggere con piacere e velocità: non è per nulla fuori luogo il paragone,
proposto nella postfazione, con i film di John Wayne.