Graham Greene
Una
pistola in vendita
Mondadori, 2000; 238 pg.
Nel 1936, anno in cui Greene scrive “A Gun for
Sale” (il primo romanzo di cui non rinnegherà la paternità, dopo la stagione
artisticamente mediocre delle opere giovanili), il secondo conflitto mondiale è
ancora di là da venire; eppure, in Inghilterra, di fronte all’incupirsi della
situazione politica sul continente, tutti danno per scontato che un’altra
Grande Guerra (ancora più terribile della prima) sia ormai inevitabile – è solo
questione di come e di quando. In questa situazione di sempre maggiore
precarietà internazionale, basta un efferato assassinio politico per innescare
(come già vent’anni prima) la spirale delle mobilitazioni e degli ultimatum
apparentemente destinata a precipitare il mondo nell’abisso. Ma
il killer inglese Raven, deforme, spietato e disperato protagonista è stato
fregato, come nella migliore tradizione pulp: i mandanti dell’omicidio del
vecchio ministro cecoslovacco l’hanno pagato con sterline rubate – e ora lui,
perfettamente riconoscibile per il marchio indelebile di un labbro leporino mal
ricostruito, senza amici e senza soldi, è nel mirino di Scotland Yard. Il bello
è che lo ricercano per furto – nessuno, a parte lui e i suoi misteriosi datori
di lavoro, è consapevole che la posta in gioco è ben più alta di duecento sterline rubate… In un’immaginaria città
dell’Inghilterra del nord che sembra non essere mai uscita dal tunnel di
degrado ambientale e sociale della rivoluzione industriale, sullo sfondo di un
paese squallido e immiserito dalla crisi economica, popolato di reduci del
fronte occidentale, puttane e malviventi d’ogni genere, che sta rapidamente
scivolando in un incubo ad occhi aperti, fatto di titoli cubitali sui giornali
e di esercitazioni pubbliche in vista di devastanti bombardamenti con i gas
(per inciso, l’unico grande terrore prebellico che non si sia davvero
realizzato nella Seconda Guerra Mondiale, ma che negli anni 30 era una sorta di
psicosi collettiva) comincia una serrata caccia all’uomo a più livelli: la
polizia cerca Raven, e Raven cerca il grasso e viscido Cholmondeley, l’unico
che può condurlo a chi regge davvero le fila del gioco – il vecchio Sir Marcus,
l’industriale che ha commissionato l’omicidio per speculare sul boom degli
armamenti, raggrinzita e malata incarnazione del Male. L’assassino e la sua
pistola sono soli contro tutti; ma inevitabilmente la
fuga-caccia finisce per coinvolgere in un gorgo inarrestabile altre persone,
vittime innocenti o ulteriori carnefici – per arrivare alla catarsi, il
massacro finale che rimetterà tutto al suo posto, tranne le coscienze, nella
consapevolezza che la catastrofe bellica è solo rimandata.
L’inizio è agghiacciante, un
duplice omicidio, il ministro e la vecchia segretaria, di violenza
sconcertante; di lì in avanti, il thriller si dipana serrato e tesissimo
dalla prima all’ultima pagina. Ma lungi dal privilegiare il semplice filone
dell’azione, Greene fa del suo romanzo la prima di una lunga serie di dubbiose riflessioni
sulla società e sul male – in cui, inevitabilmente, gli interrogativi sono
molti di più delle risposte; e, a differenza degli autori contemporanei di
thriller da cassetta, Greene padroneggia con vera arte la scrittura – e già in
questo romanzo praticamente d’esordio pone le premesse
dello stile limpido, scorrevole e preciso, eppure denso e artisticamente
consapevole, perfino lirico, a volte, ma dal taglio veramente cinematografico,
che ritroveremo negli anni successivi. E in Una pistola in vendita, ritroviamo
già l’embrione di quella “Greeneland” di cui parlano i critici: un mondo desolato (solitamente un paese tropicale –